Le immagini riportano porzioni di tre differenti rappresentazioni di Puteoli ricavate da altrettante fiaschette in vetro, probabili antichi "souvenir", ritrovate in diverse località. A) Praga; B) Pilkington Museum; C) Odemira (tratte da Ostrow 1979).
LA COSTA FLEGREA IN EPOCA ROMANA
I Campi Flegrei in epoca imperiale raggiunsero un livello di notorietà tale da essere diventati un territorio cosmopolita dalla notevole capacità attrattiva, oltre che per la dolcezza del suo clima e per lo stile di vita libero e rilassato, soprattutto per le numerose sorgenti termali che offrivano plurime opzioni salutari e pertanto molto ricercate. In più la geografia dell'area presentava aspetti inconsueti ricca come era di boschi, laghi, isolotti e vulcani la cui attività la si riconosceva anche dalle numerose fumarole e dal forte odore di zolfo. Inoltre, l'alternanza di lunghe spiagge e fronti rocciosi con le retrostanti colline ricche di vegetazione restituivano un paesaggio florido e incantevole.
A rendere il panorama ancora più invitante e capace di suscitare orgoglio e gratitudine per l'operato umano, erano le mirabili architetture dei vari centri abitati che si affacciavano sul mare. Raggiungere a bordo di un'imbarcazione il più grande porto del mondo conosciuto di allora era un'esperienza affascinante che rapiva lo sguardo e lasciava ammaliati, sensazioni che confermavano nel profondo dell'anima la presenza di entità divine che quei luoghi governavano e in cui trovavano ristoro.
Per dare maggiore efficacia a quanto prima accennato, si è immaginato il panorama osservato nelle ultime miglia percorse da un ipotetico viaggiatore diretto a Puteoli imbarcatosi alle prime luci dell'alba da Portus, ovvero il porto dell'antica Roma, scalo costiero posto alla foce del Tevere. Dopo circa due giorni di navigazione con il favore di Eolo e Nettuno salutata la foce del fiume Vulturnus (Volturno) a dominare il paesaggio è la lunga foresta a monte del litorale sabbioso che nasconde l'entroterra pianeggiante caratterizzato da ampi campi coltivati sottratti con duro lavoro alla pianura alluvionale.
La distesa di vegetazione naturale spezzata dalla foce del fiume Clanis che prima di finire a mare colma l'ampia superficie nota come Literna Palus (l'attuale Lago Patria) segnala la colonia marittima di Liternum, voluta da Scipione l'Africano, insieme con Volturnum e Puteoli, per fornire quel tratto di costa di adeguata protezione. A poche decine di metri dal detto sbocco, a monte della spiaggia l'anfiteatro liternese con il suo velario annuncia l'imminente fine del viaggio. Il lento ondeggiare dei teli posti a copertura dell'edificio ludico, mossi dalla brezza, come un lungo saluto attira l'attenzione del viaggiatore a cui sembra di sentire il fruscio del vento che li accarezza.
Lo sciabordio delle onde che s'infrangono sulla chiglia dell'imbarcazione che procede costeggiando lo distoglie dall'incantevole visuale e la curiosità si accende alla vista di un bue in mare che, a pochi metri dalla battigia sembra trainare un robusto cesto di vimini e legno quasi totalmente immerso nell'acqua, governato mediante due manici da un uomo che, sicuro del suo mestiere, comunica a gran voce a un altro posto davanti al bovino, occupato a dirigere, mediante una corda, il vigoroso animale.
Scena che si allontana, senza che l'osservatore abbia trovato una risposta sullo scopo di tanto impegno, lasciando spazio all'estesa spiaggia fino a quando la collina dell'acropoli di Cuma si fa notare per i magnifici templi che troneggiano sulla cima. Lo scalo portuale di cui si riconosce ancora l'antica ampia capacità è ormai utile solo per piccole imbarcazioni le cui bianche vele spiccano per contrasto sulla grigia pietra delle possenti mura erette per la difesa dell'abitato.
Fortificazione che si fa apprezzare per la massiccia imponenza rivelandosi come baluardo invalicabile e indugiando ancora con lo sguardo sulla severa roccaforte, muta testimone di assedi ripetuti e interminabili, nuovamente l'attenzione è polarizzata dalle svettanti antenne di uno svolazzante velario che s'intravede tra i varchi dell'edificio, smosso dalla medesima brezza che gonfia le vele dello scafo su cui viaggia, quello dell'anfiteatro cumano che coronando la sommità di una collina riempie di meraviglia l'entusiasta viaggiatore ormai sedotto da tanta promessa di svago.
Seguono la lunga foresta di Cuma che sembra accarezzare la collina cesellata di caseggiati rurali e magnifiche ville, e i lidi di sabbia dorata animata da gruppi di persone intente a rilassarsi e giocare, assaporando il pomeridiano sole di primavera. Lieto di tanta leggera vitalità la sua curiosità è catturata da un sorprendete scenario composto dal piccolo isolotto (l'attuale isolotto di San Martino) posto sotto il promontorio del Monte Cumano (oggi noto come Monte di Procida) e a occidente dalle isole Aenaria (Ischia) e Prochyta (Procida) e sullo sfondo Capo Miseno, promontorio tufaceo che delimita l'ampio tratto sabbioso che separa il mare dai caseggiati militari (sede della Schola Militum per la formazione dei classiarii e i legionari al servizio della Classis
Misenensis poi diventata Classis Praetoria Misenensis Pia Vindex) oltre il quale si intravede il centro abitato di Bauli (Bacoli) e il lago di Miseno riconoscibile dal sartiame delle numerose imbarcazioni ormeggiate.
Le signorili costruzioni aggrappate alle pendici sembrano intagliate sulla puntuta penisola (Capo Miseno) e una volta superato il faro si apre fiero e rassicurante il golfo di Puteoli palesando la costa lussureggiante impreziosita da splendide costruzioni con la villa imperiale che domina dal costone più alto (quello su cui oggi insiste il Castello Aragonese). Ma neanche il tempo di abbracciare con lo sguardo l'opulento fronte marino che immediatamente un altro velario rapisce il viaggiatore, quello del teatro di Miseno posto tra il mare e il foro contornato di edifici pubblici e templi tra i quali s'intravede la cupola di una grande aula termale (edificio ormai scomparso) .
Spazio pubblico che dalla base di Capo Miseno si estende fino al suo porto, la "rada di Miseno", protetto dal mare aperto dalla diga foranea, elegantemente strutturata e sede del comando della flotta navale e forse dimora del Praefectus classis Misenensis (attuale Punta Pennata). Scalo militare caratterizzato sullo sfondo dal ponte che scavalca il canale che conduce agli attracchi più interni e ai cantieri navali (l'attuale lago di Miseno chiamato anche Mare Morto) oltre il quale si scorgono le antenne di un altro velario, quello del circo cumano dall'interno del quale emerge l'alto obelisco.
Proseguendo verso Puteoli le numerose terrazze porticate delle ville patrizie che dalle colline scendono al mare modellandosi in peschiere e ninfei adornano la costa. E mentre ancora incombe l'imponenza della villa imperiale ecco apparire la vitalissima Baia con il suo lago contornato di ville, templi e costruzioni pubbliche, e a ridosso le fantastiche cupole delle aule termali e il brulicare di avventori. La mitica via Erculanea rivela l'accesso al Portus Iulius con il bacino del lago Lucrino ornato di "eccelsi" edifici destinanti alla cura e al riposo che orientano il pensiero a immaginare la bellezza del retrostante misterioso lago d'Averno ormai parte dello scalo militare.
Infine l'imbarcazione vira per il porto antico di Puteoli manifestando le strutture lignee, le macchine e il cordame del velario dello stadio della città di marmo (così come era definita Puteoli all'apice della sua grandezza). Il susseguirsi delle case patrizie, dei templi e degli stabilimenti termali calamitano ancora una volta la considerazione dell'entusiasta viaggiatore che rimane colpito dall'inusuale vista di due anfiteatri l'uno accanto all'altro entrambi coronati dalle palificate poste a sostegno del sistema dei velari e prima di entrare nel porto un soprassalto di stupore suscitato da un altro velario ancora, quello del teatro di Puteoli a valle del foro immediatamente a ridosso della parte più antica della città (oggi nota come Rione Terra).
Le ultime ore di viaggio saranno state per l'immaginario viaggiatore una successione di emozioni e meraviglie mai viste e una volta sbarcato dimentico dello scopo per cui era partito si sarà scoperto, frastornato dalle mille voci proferite in lingue diverse di un attivissimo e frequentato porto, felice di essere approdato nella più bella città del tempo piena di edifici di ogni genere, preziosi e tecnologicamente avanzati dove era evidente l'amore per il divino, la vita, l'arte, la cultura e lo spettacolo.
Calato il sole, dopo un meritato riposo e una cena ristoratrice trascorsa gustando dell'ottimo pesce alla griglia bagnato da uno speciale vino bianco locale, continuando ad assaporare gli effetti del delizioso nettare passeggiando tra la folla, la vista di un bue che traina un carro riaccende un ricordo e un dubbio. Riconosce il forte bovino e chi lo guida e nel guardare il carico finalmente la risposta, "raccoglitori di clams!" (vongole) con i cesti pieni diretti al mercato per gli acquirenti del giorno dopo e all'istante si accende un pensiero nella sua mente: "ecco cosa assaggerò domani... ma con lo stesso vino".
F.G.
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